Se un alunno è un po' nervoso, può sempre alzarsi ed accarezzare la salamandra o far due coccole al cagnolino della scuola. E' questo quello che puoi vedere se entri una classe di una qualsiasi scuola della Finlandia.
Il modello per antonomasia di
sperimentazione in Europa e i dati, ma
soprattutto l'osservazione sembra dar ragione agli educatori. Siamo partite il
sei ottobre destinazione Helsinki per seguire un corso di formazione con English
Matter: primo step convegno per conoscere gli altri colleghi, un centinaio
circa, provenienti da tutti i paesi europei, una collega arriva da Israele.
Il sistema scolastico in Finlandia comincia con gli asili nido e una scuola
dell'infanzia che dura fino a sei anni, i bambini devono restare più a lungo
possibile bambini, cominceranno ad apprendere solo quando il cervello è al
giusto stadio di maturazione.
La scuola primaria generale obbligatoria,
comincia a sette anni, un ciclo unico
di nove anni.
La
scuola secondaria di tre anni,
presenta due indirizzi, uno lo potremmo definire il nostro liceo l'altra
è la vocational school, una scuola professionale che forma al lavoro.
Il sistema universitario
prevede inoltre oltre alla facoltà classiche, scuole universitarie
professionali. I sistemi non sono rigidi e chi completa un ciclo può passare ad
un altro corso universitario.
Prima lezione per noi, sale in
cattedra un maestro elementare che ci
spiega che la selezione per insegnare in Finlandia è molto dura. Petteri Elo aveva già una laurea in Economia
conseguita alla University of Kent a Canterbury ma tornato in Finlandia ha
deciso quasi per caso di provare
l’insegnamento.
Ha cominciato, diciamo con le
supplenze, che in Finlandia per un laureato
che non abbia fatto gli studi
pedagogici richiesti per diventare docenti statali sono possibili solo per un
periodo massimo di un anno. Della professione di maestro si è innamorato e così
è ritornato all'Università per specializzarsi nell'insegnamento. Ha preso una
laurea e poi un master in scienza dell’educazione.
Adesso oltre a lavorare in una
scuola è ricercatore e formatore. Nel suo c.v. però, menzionato alla
voce ‘work experience’, c’è anche il
mestiere di househusband – praticamente ha fatto il papà per un anno in casa
sua col suo primogenito.
Qualcuno gli chiede dei programmi a
scuola ma lui focalizza la nostra
attenzione sulle competenze che i bambini devono acquisire. I contenuti NON
sono importanti.
Autonomia e competenza vengono
prima delle conoscenze.
La parola chiave per lui è domanda.
Si prediligono le domande che gli alunni
possono fare e non le risposte preconfezionate che devono dare. La qualifica
minima per insegnare nelle scuole elementari è la laurea e la selezione per
salire in cattedra è piuttosto dura, solo il dieci percento delle seimila
matricole annuali ottiene un posto. A
quel punto è affiancato da psicologi, consulenti
al curriculum e assistenti
sociali.
Il concetto di classe è superato, si lavora per gruppi e sottogruppi
d'apprendimento, dove ognuno può trovare ciò di cui ha bisogno: o un
approfondimento o un recupero.
Ci si preoccupa molto del benessere dei ragazzi, infatti la
seconda parola chiave del suo seminario di oggi
è pasto.
Tutte le scuole hanno una mensa e ogni giorno viene fornito
gratuitamente il pranzo ispirato a principi sani dell'alimentazione.
Alla fine
del ciclo unico il 53 percento degli
alunni con voti più alti può proseguire
con gli studi accademici, il 39 percento frequenta le scuole tecniche .
La curiosità
aumenta, domani entreremo nelle classi, avremo la possibilità di vedere dal
vivo il sistema che finora ottiene i risultati migliori nella classifica
internazionale PISA, allora a letto presto. Lungo la via di casa discutiamo sulle parole di Petteri: ci ha illustrato una didattica
collaborativa tra docenti ed alunni,
incentrata sul saper fare, sulla domanda e non sui contenuti e ci tornano in mente le parole di Albert
Einstein:
” Apprendere è sperimentare, il resto è solo informazione”
...continua
” Apprendere è sperimentare, il resto è solo informazione”
...continua
Ina Galioto e Giusi
Provino